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Il Rinascimento adriatico di Giorgio di Matteo ad Ancona
“Il Rinascimento adriatico di Giorgio di Matteo ad Ancona”
Nulla, come l’eredità in pietra lasciataci da Giorgio di Matteo, può evocare al meglio i fasti della gloriosa, seppur piccola Repubblica marinara di Ancona.
Questo itinerario, si articola attraverso, le vie “della Loggia”, “Pizzecolli” e il tratto iniziale di Via Cialdini (originariamente conosciute come Via Pubblica, Strada Maestra e Strada Grande di Capodimonte), fulcro della vita sociale ed economica dell’antica repubblica.
Giorgio di Matteo, architetto, urbanista e scultore zaratino, più comunemente conosciuto come Giorgio Orsini da Sebenico (Juraj Matejev Dalmatinac 1410 - 1475), fu tra i principali esponenti di quella stagione artistica sviluppatosi tra le due sponde adriatiche, che prende il nome di “Rinascimento adriatico”.
La sua singolare attività, diffusa tra Dalmazia, Venezia e Ancona, si caratterizza, per la commistione di stilemi, in cui il plasticismo del gotico fiorito, guarda e si fonde armonicamente con il ritorno al classico, tipico dell’arte rinascimentale.
E’ proprio a Venezia che l’Orsini nel 1430 inizia l’attività, collaborando alla bottega di Giovanni e Bartolomeo Bon nell’esecuzione della “Porta della Carta” di Palazzo Ducale. Qui dove sono evidenti le mescolanze tra il formalismo tardo gotico veneziano e i primi accenni di scultura a tutto tondo di gusto rinascimentale, gli si attribuiscono, le statue raffiguranti le virtù di “Fortezza” e “Temparanza”, le cornici con motivo a foglia d’acanto e i putti reggi scudo sui pilieri. Durante il soggiorno italiano, l’Orsini venne a contatto con alcuni tra i principali esponenti dell’arte rinascimentale fiorentina; il Vasari lo annovera addirittura tra i discepoli del Brunelleschi, tesi poi sfatata dai critici contemporanei. Nel 1441, il governo della repubblica di Ragusa (attuale Dubrovnik), lo incarica di succedere ad Antonio dalle Masegne, in qualità di “protomagister” (primo architetto) della Cattedrale di San Giacomo a Sebenico. La ritmica armonia rinascimentale, unita all’austerità della preesistente struttura gotica, fanno di questo complesso (patrimonio Unesco dal 2000), l’opera maestra dell’architetto dalmata. Unico e innovativo, l’uso dell’aparato decorativo in grossi blocchi di bianca pietra d’Istria, ricavata dalle cave dell’isola di Brazza in Croazia, che diviene al tempo stesso elemento strutturale autoportante.
Ma eccoci dunque ad Ancona, l’Orsini vi giunse a metà ‘400, periodo di maggior splendore della Repubblica Marinara.
L’intero territorio ha raggiunto la sua massima espansione, circa 315 kmq, sviluppandosi entro i fiumi Esino (a nord) e Musone (a sud).
Da sempre considerata la “porta d’oriente” del centro Italia, per via della sua centralità nella rotta commerciale che proveniendo dal Medio Oriente e Ragusa, si collegava a Firenze e alle Fiandre sino a raggiungere l’Inghilterra, aggirando l’acerrima nemica Venezia.
In questo scenario storico, dove la navigazione rientra tra le principali attività economiche della città, trova collocazione la figura dell’armatore Dionisio Benincasa, principale fautore dell’arte rinascimentale adriatica in terra dorica.
A lui si deve la fabbrica di Palazzo Benincasa. Uno dei più vasti edifici privati cittadini, situato nell’antica e tortuosa “Via Pubblica” oggi Via della Loggia.
L’edificio, voluto per raggruppare le proprietà fronte mare dei Benincasa, si sviluppa per 50 metri, seguendo l’andamento curvilinio della strada.
I lavori, furono affidati all’Orsini, conosciuto durante uno tanti soggiorni veneziani dell’armatore ed è il primo in ordine temporale, di una serie di interventi che l’architetto dalmata operò ad Ancona.
I tre piani, edificati in laterizio sono armonizzati ritmicamente da una serie di bifore trilobate, che risentono dell’architettura gotica fiorita veneziana.
Il piano terra, è caratterizzato da un porticato archiacuto edificato in parte in pietra bianca del Conero(pietra calcarea locale simile a quella d’Istria), e in parte in laterizio, ingentilito nelle volte, da una modanatura a tema vegetale e zoomorfo.
Rimaneggiato nel XVIII sec. con l’aggiunta del terzo piano, ospita oggi nelle eleganti sale del piano nobile, affrescate dal pittore lombardo Pallavicini, la “Biblioteca Amatori”.
Attiguo a palazzo Benincasa, proteso tra il tessuto urbano medioevale che in parte ne nasconde la magnificenza e il porto, sorge uno dei più bei edifici pubblici anconetani, la Loggia dei Mercanti.
Simbolo della gloriosa Repubblica marinara e della sua atavica vocazione commerciale, venne costruita nel 1442 a spese della comunità anconetana così come recita l’iscrizione “Sumptibus Erectum Comunitatis Anconae”, e adibito a luogo di scambi commerciali e alle riunioni dei mercanti.
I lavori della ricca facciata, furono affidati a Giorgio di Matteo che vi lavorò tra il 1451 e il 1459 per un compenso di 900 Ducati d’oro.
Il ricco “merletto di pietra” è da considerarsi come uno dei capolavori emblematici del rinascimento adriatico, in cui il gotico fiorito, incontra le prime espressioni di scultura proto-rinascimentale, creando una commistione di enorme valore stilistico.
La loggia archiacuta del piano inferiore rimaneggiata nel cinquecento da Tibaldi, ospita nel fornice centrale, lo splendido portale ligneo, attribuito al mastro intagliatore Brozzo del fu Matteo da Firenze.
Esili ed eleganti colonnine tortili, sorreggono il marcapiano decorato con motivo a foglia d’acanto, al di sopra del quale si aprono le eleganti bifore trilobate, suddivise da quattro colonne terminanti con un pinnacolo cuspidato
In ogni colonna vi è un baldacchino contenente le rappresentazioni delle quattro virtù, da sinistra verso destra, Speranza, Fortezza, Giustizia e Carità.
Le quattro statue allontanandosi dai modelli plastici dello stile gotico, vanno via via, ispirandosi ai modelli rinascimentali della “Venere vincitrice”, riscontrabile soprattutto nell’allegoria della Carità.
Nel riquadro centrale, è posta la statua del fantomatico cavaliere, araldo della municipalità anconetana, la cui identità è ancora un’incognita.
Il sontuoso interno, è frutto dei rimaneggiamenti attribuiti a Pellegrino Tibaldi tra il 1558 e il 1561, in seguito ad un incendio.
Del cinquecentesco apparato decorativo della volta, divisa in cassettoni, resta solo qualche traccia, recuperata in seguito ai danni del secondo conflitto mondiale.
Alle pareti, le sculture settecentesche di Gioacchino Varlè, raffiguranti i quattro Continenti (tranne l’Oceania), alternati dai busti commemorativi di Papa Clemente XII e Pio VII, mentre negli angoli del soffitto, svettano imponenti le figure in gesso a tutto rilievo, della Fede (lato mare a sx), Religione (lato mare a dx), Speranza (lato ingresso a sx) e Carità (lato ingresso a dx).
La facciata fronte mare a balconata, detta “poggiolo con riporto” venne realizzata in pietra d’Istria dagli scultori scalpellini Girolamo di Michele da Carona e Marcello Battista da Venezia, su disegni dell’architetto Girolamo di Giannetto
Usciti dalla Loggia e imboccato il Lungomare Vanvitelli, non si può non notare la splendida facciata ad arcatelle cieche della chiesa di Santa Maria della Piazza, eretta tra l’XI e il XII secolo, su preesistende edificio paleocristiano del VI secolo di cui sono ancora visibili i mosaici ipogei.
Ripreso il nostro itinerario e risaliti i primi pendii del Colle Guasco attraverso il tortuoso tracciato del Volto dei Seniori, dove ancora si respira l’anima dell’originaria Ancona pre bellica, si giunge in Piazza Stracca.
Scenografico balcone sul mare, si contradistingue per l’armonia degli edifici che ne fanno da cornice, l’antico Palazzo degli Anziani fondato dall’Imperatrice Galla Placidia, con la cinquecentesca facciata manierista e la settecentesca chiesa del Gesù, edificata dal Vanvitelli e preceduta dall’elegante pronao dorico.
Procedendo in direzione sud, si imbocca Via Pizzecolli, anticamente nota come “Via Maestra,” per essere la principale arteria cittadina e per questo ricca di testimonianze civili che vanno dal medioevo, sino al settecento. A metà strada si apre Piazza San Francesco, caratterizzato dallo scalone che immette al sagrato della chiesa di San Francesco alle Scale.
Il monumentale portale della chiesa è la terza opera in ordine di successione compiuta ad Ancona, dal Giorgio di Matteo, che vi lavorò tra il 1455 e il 1459 dietro compenso di 670 Ducati d’Oro.
Interamente scolpito nella pietra d’Istria, è racchiuso entro due pilieri cuspidati, recanti nelle edicole, le statue di Santa Chiara, San Bernardino da Siena, Sant’Antonio da Padova e San Ludovico d’Angiò e coronato da un baldacchino semiesagonale trilobato, terminanti con pennacchi di gusto gotico fiorito.
Evidenti sono i richiami alla Porta della Carta di Palazzo Ducale, con la differenza che, mentre nell’opera veneziana l’intero apparato ha anche valenza strutturale, qui, assume mera funzione iconografica e di abbellimento.
Lo spirito rinascimentale è riscontabile nei formalismi classici delle sculture e nelle venti testine antropomorfe scolpite sui montanti e sull’architrave del portale, che ricordano la Cattedrale di Sebenico, mentre sotto il conchiglione, la lunetta archiacuta, ospita lo splendido bassorilievo, raffigurante San Francesco che riceve le stigmate.
Ma la chiesa di San Francesco, seppur rimaneggiata e adibita ad usi diversi nel corso dei secoli, merita una visita anche per la splendida Pala d’altare di Lorenzo Lotto (1550), raffigurante L’Assunta e la tela di Andrea Lilli (metà del ‘500), raffigurante la Madonna di Loreto tra i Santi Giuseppe, Anna e Francesco (in alto), Carlo, Girolamo e Giovanni della Marca (in basso).
Usciti dalla chiesa tornando sui nostri passi, si percorre l’ultimo tratto della Via Maestra, si superano la Civica Galleria d’Arte moderna, intitolata al sommo pittore locale Francesco Podesti, contente opere di enorme valore del Tiziano, Lotto, Crivelli, Guercino, Dal Piombo, ci si addentra quindi nell’elegante cortile gotico–rinascimentale del Palazzo della Governo, anticipato da due archi rinascimentali, d’ispirazione classica, attribuiti a Matteo di Antongiacomo e Pietro Amoroso (1493-1550), si attraversa Piazza del Plebiscito (o del Papa), salotto cittadino per eccellenza e si giunge in Piazza della Repubblica, dove campeggiano l’ottocentesco Teatro delle Muse e la seicentesca chiesa del S.S. Sacramento, con il singolare campanile di borrominiana memoria .
Superata la Chiesa del Sacramento e imboccata la salita di Via Cialdini, prolungamento della Via Maestra in uscita da Ancona, l’itinerario si conclude con il Portale di Sant’Agostino.
La chiesa intitolata a Santa Maria del Popolo, venne eretta dagli agostiniani nel 1341 nel punto in cui la “Strada Grande di Capodimonte” storica via d’accesso alla città, confluisce in centro.
In seguito alla soppressione degli ordini monastici perpetrata da Napoleone e alla secolarizzazione in epoca risorgimentale, l’intero complesso viene adibito ad usi militari subendo importanti modifiche strutturali e architettoniche che ne hanno per sempre alterato l’aspetto.
Unico supersite il portale marmoreo, che gli agostiniani commissionarono all’architetto dalmata il 28 giugno 1460, dietro un compenso di 650 ducati d’oro.
L’opera è l’ultimo capolavoro orsiniano ad Ancona, in quanto a causa di alcune controversie sorte con i frati, nel 1473, il maestro abbandona il cantiere e lascia la città; saranno Michele di Giovanni da Milano e Giovanni Veneziano a completarlo, seguendo il progetto originario.
La composizione stilistica si avvicina ai modelli della Loggia dei Mercanti e di San Francesco alle Scale, anche se qui è netta una sorta di abbandono dello stile gotico e una più marcata impronta rinascimentale.
Come spesso accade nella produzione dell’Orsini, la parte scultorea impostata su un programma iconografico agostiniano, appare predominante su quella architettonica.
Nelle edicole che adornano i pilieri laterali, sono collocate in basso, le statue di Santa Monica (a sinistra) e San Nicola da Tolentino (a destra), mentre nei baldacchini superiori, sono San Simpliciano (a sinistra) e il Beato Agostino Trionfi (a destra).
Il portale a tutto sesto, modellato secondo il gusto rinascimentale, presenta una strombatura decorata con colonnine tortile, testine antropomorfe e motivi a foglia d’acanto, mentre sull’architrave, è raffigurata una scena dell’Annunciazione.
Al di sopra, si staglia la magnifica composizione teatrale che vede ai lati, due angeli sollevare il velo dell’ignoranza, tirato in alto dal busto simboleggiante la Fede, mentre al centro, è predominante la figura di Sant’Agostino che rigetta i libri eretici e mostra le Sacre Scritture.
A coronamento dell’intera opera, entro un oculo cieco, vi è il busto del “Rectore Mundi” posto qui in seguito ai restauri ottocenteschi.
Alla base, vicino alle colonne di ordine corinzio, vi erano due leoni stilofori in marmo rosso di Verona, scolpiti nel cinquecento da Bernardino di maestro Pietro della Scala da Carona poi andati perduti. Gli ambienti dell'ex convento, sono oggi adibiti a Sala museale "Contrammiraglio Guglielmo Marconi." La scelta di allestire questo museo, che ripercorre la storia delle telecomunicazioni e della radio, nasce dal fatto che fu proprio ad Ancona, che nel 1904, Guglielmo Marconi, portò a termine importanti esperimenti di trasmissione radiotelegrafica.